A cosa pensiamo quando pensiamo al calcio by Simon Critchley

A cosa pensiamo quando pensiamo al calcio by Simon Critchley

autore:Simon Critchley [Critchley, Simon]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858428894
editore: Einaudi
pubblicato: 2018-05-14T16:00:00+00:00


Mi pare somigli molto all’esperienza che si fa guardando l’Inghilterra nelle competizioni internazionali: i giocatori si aggirano per il campo sperduti, il pallone gira in orizzontale, ogni tanto ripassa dal portiere, non si capisce perché gli attaccanti siano immobili oppure s’inseriscano nello spazio sperando di ricevere un passaggio che non arriverà mai, la paura aleggia nell’aria e s’infiltra tra i tifosi seminando rabbia. Piú s’impegnano piú sembrano essere inevitabilmente prigionieri della loro sorte avversa. È come guardare la danza psicotica di Lucky nel primo atto di Aspettando Godot di Beckett, che Pozzo definisce «la danza della rete». I tifosi hanno lo sciagurato presagio di quel che sta per succedere, sprofondano nei loro posti, stupefatti e delusi. Ma è persino piú tragico di cosí, perché finché resta del tempo da giocare, anche gli ultimi minuti di recupero, si può ancora sperare. Come mostrerò tra poco, nel calcio non è solo la delusione a ucciderti: è la speranza in cui ricaschi sempre. La cosa peggiore di essere un tifoso, soprattutto dell’Inghilterra, è quel terribile misto di presentimento e speranza.

Bertolt Brecht era arrivato a una conclusione incredibile negli anni Venti mentre cercava di elaborare ciò che avrebbe definito «teatro epico». Per lui il problema del teatro, in particolare di quello naturalista e borghese di fine Ottocento e primo Novecento, era che lo spettatore cadeva in una sorta di assopimento, o di ipnosi, durante la messa in scena. Brecht desiderava al contrario un pubblico sveglio e razionale. Se il pubblico di solito a teatro restava seduto immobile, privo delle proprie facoltà critiche, aspettando di commuoversi stupidamente per le capacità individuali degli attori, Brecht invece voleva spettatori consapevoli e capaci di formulare giudizi. Un pubblico disinvolto e in grado di comprendere davvero. Per questo auspicava, per il suo nuovo teatro epico, spettatori piú simili alle masse che affollavano gli eventi sportivi: con i loro snack, i sigari, le chiacchiere e il rumore, i cori, l’entusiasmo e gli insulti. Penso che non avesse affatto torto e il suo ragionamento ci permette di apprezzare l’intelligenza delle folle negli stadi.

Immagino che questo discorso possa iniziare a sembrare strano a chi non segue il calcio, e scontato a chi lo segue, ma quel che voglio dire è che nella pratica del tifo si attua un’innata intelligenza. So già ciò che penserete adesso. Ricordo gli spalti di Stamford Bridge nei primi anni Ottanta, quando non capivo ancora veramente quanto fosse profondo il razzismo dei tifosi del Chelsea. Era orribile. Sono consapevole che nelle partite tra Leeds e Arsenal i tifosi dei Gunners si divertono scherzando su Peter Sutcliffe, lo Squartatore dello Yorkshire. E i tifosi del Manchester United si prendono gioco della strage dell’Hillsborough del 1989 in cui morirono novantasei tifosi del Liverpool, mentre quelli del Liverpool ancora fanno battute sul disastro aereo di Monaco del 1958, che fece ventitre vittime tra cui otto giocatori del Manchester United e nel quale fu gravemente ferito il suo immenso allenatore Matt Busby. E ci sarebbero molti e molti altri esempi delle abitudini schifose dei tifosi.



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